Focalizzare da soli

In questo articolo, Kay Hoffmann offre una riflessione molto ricca e stimolante sull’esperienza del focalizzare da soli, ovvero una delle due dimensioni fondamentali della pratica del Focusing – l’altra è lo scambio alla pari.

Buona lettura, e soprattutto buona pratica!

FOCALIZZARE DA SOLI

Articolo di Kay Hoffmann, BFA recognised Teacher and Mentor, International Focusing Institute Trainer and Certifying Coordinator

Articolo originale “Solo Focusing”, disponibile su www.focusing.org.uk/solo-focusing

Traduzione a cura di Bruno Mariti e Roberto Tecchio

Introduzione (di Roberto Tecchio)

Immagina … Immagina di poter sempre contare su qualcuno che ti sa ascoltare in modo sinceramente accogliente ed empatico, che non ti dà consigli, non ti giudica, non ti analizza, non comincia a parlare di sé e delle sue risonanze con quello che racconti, che non minimizza né esagera quanto dici, una persona di cui ti fidi pienamente e che sai esserci in ogni momento, ventiquattro ore su ventiquattro: quando la cerchi è lì, accanto a te, alla distanza o vicinanza giusta che fa per te.

In sua presenza tu puoi godere di una libertà unica: non c’è nulla che tu possa dire o fare che lei non segua con quell’intelligenza, interesse, partecipazione che la caratterizzano. Grazie al suo ascolto, che può essere completamente silenzioso oppure squisitamente attivo – è incredibile e talvolta commovente quanto sappia capire di cos’hai bisogno, quasi fosse dotata di telepatia – tu ti chiarisci, cogli con maggiore nitidezza i contorni della tua esistenza, comprendi in profondità le situazioni che ti affliggono e quelle che ti affascinano, decidi con giustezza, ti senti in grado di affrontare positivamente ogni circostanza.

Bello poter contare su un’amicizia simile eh, sarebbe un vero tesoro! Peccato, dici, che nel mondo che abitiamo non esiste e non può proprio esistere una persona del genere. E invece sì che esiste, siamo ‘noi’, sei ‘tu’ per te stessa/o.

O meglio, è quella parte di te che vive in te come particolare forma di energia (al pari delle altre forme di energia che chiami ‘parti’ di te), la parte di te che è naturalmente in grado di connettersi con la Presenza, cioè con quella realtà tanto tangibile quanto misteriosa che tutto permea e comprende.

A volte, questa parte di noi che porta la Presenza nel nostro vivere, arriva improvvisamente, senza essere stata deliberatamente appellata; ma questo, secondo me, è un abbaglio, un errore di percezione: siamo noi che all’improvviso la scorgiamo, la sentiamo, perché lei, in quanto parte integrante di noi, di fatto era già lì – come il cuore, che è lì, nel petto, da sempre, e non potrebbe proprio essere altrove!

Allora, non è una gran bella notizia sapere che nel nostro condominio interiore abita questa parte, che quando la contattiamo ci trasforma magicamente in amica/o speciale di noi stessi?

Se conosci abbastanza il Focusing, sai di cosa sto parlando, e il Focusing da soli è il modo più pratico, quello più a portata di mano o di pensiero, per connetterci con questa parte di noi in grado di farci conoscere il di più che c’è in ogni situazione e il molto di più che siamo…

“Solo Focusing”, di Kay Hoffmann

“Ho smesso di focalizzare da solo perché non arrivo mai da nessuna parte”; “Quando sono da solo non riesco a rimanere nel processo”; “Ho bisogno della presenza di un’altra persona perché qualcosa si muova”. Tutti questi commenti sono stati fatti da Focusers esperti. Potremmo chiederci allora perché, per la maggior parte delle persone, focalizzare da soli è tanto più difficile che farlo con un compagno? E si può imparare a focalizzare da soli efficacemente?

Nella speranza di trovare risposte a queste domande ho interrogato 15 focusers sulle loro esperienze. Tutte persone che avevano familiarità con i diversi consigli utili per focalizzare, eppure la maggior parte di esse trova difficile focalizzare da solo. Solo due di loro hanno detto che la loro focalizzazione da soli era altrettanto valida di quella con un partner.

Perché le persone trovano difficile focalizzare da sole

Le ragioni principali che hanno reso insoddisfacente focalizzare da soli, come dichiarato dagli stessi Focusers, sono state:

– “La mia mente vaga”. “Trovo difficile concentrarmi e continuo ad andare alla deriva nei sogni ad occhi aperti”. (In questo caso, qualunque cosa stia pensando il Focuser, lo chiama “andare alla deriva” o “vagabondare”).

– “Non appena mi siedo a focalizzare comincio a pensare di non avere in realtà tempo per questo.” “Continuo a distrarmi pensando a tutte le altre cose che devo fare”.

– “Va bene fino a un certo punto, poi mi ritrovo bloccato nella nebbia”. (Una serie di risposte simili includevano “sfocatura” e “perdersi”).

– “Quando vado dentro non c’è niente”.

– “Riesco sempre a trovare un Felt Sense, ma non riesco ad ottenere un cambiamento”.

– “Mi siedo per iniziare a focalizzare, ma poi ho paura che se mi addentro troppo profondamente in qualcosa sarò sopraffatto”.

Questi ostacoli hanno due cose in comune:

a) accadono dopo che il Focuser ha cominciato a dirigere la sua attenzione all’interno;

b) sono facilmente superabili o non sono affatto evidenti in presenza di un compagno.

Ciò suggerisce che, sebbene il Focuser possa percepirli come ostacoli al processo in corso, ognuno di essi è in realtà “un qualcosa” a cui si potrebbe dare attenzione all’interno del processo già in corso. Per usare la seconda citazione come esempio: c’è una differenza tra non pianificare di focalizzare da soli a causa di una vera mancanza di tempo, e decidere di iniziare a focalizzare e poi pensare “Non ho tempo per questo”.

Quindi la difficoltà principale del focalizzare da soli potrebbe essere il fatto di non cogliere l’ovvio – qualcosa che è sotto il nostro naso. Perché il Focuser non si dice da solo: “Sto notando qualcosa in me che sente di non avere tempo per questo”? Allo stesso modo, cosa impedisce ai Focuser “facilmente sopraffatti” di riconoscere la loro paura dicendo “qualcosa in me ha paura che io sia sopraffatto”? Chiaramente, in ogni caso, il Focuser è identificato con qualcosa – eppure, anche quando i miei intervistati riferivano le loro difficoltà, questa possibilità non sempre gli è venuta in mente – e sono certo che tutti i Focuser in questione avrebbero immediatamente individuato un tale caso di fusione se fossero stati nel ruolo dell’accompagnatore! Sembra che qui ci sia una dinamica particolarmente sottile che può impedirci di notare l’ovvio quando focalizziamo da soli.

La maggior parte dei Focusers con cui ho parlato ha riferito che se superano il punto in cui contattano il Felt Sense e cominciano a fare passi, la sessione di solito procede senza intoppi. L’area di pericolo principale, quindi, è all’inizio di una sessione in cui le abilità di autoascolto non sono ancora consapevolmente impegnate – la zona di transizione tra i soliti schemi di pensiero e il Focusing.

Prendiamo in prestito l’analogia di Ann Weiser di organizzare un incontro con un buon amico in un bar. Diciamo che l’amico A ha l’intenzione di scoprire come si sente veramente l’amico B. Immaginate che A dica: “Come ti vanno le cose oggi” e B risponda: “Non ho davvero tempo per questo, perché ho ancora così tanto da fare oggi” o “Preferirei non parlare ora perché se lo faccio so che mi arrabbierò molto” o “Va tutto bene – niente da dire in questo momento”.

Se poi A dovesse proseguire con un commento come: “Cosa c’è che non va in te? Trovi sempre la stessa patetica scusa per non parlare con me” o “Beh, se proprio vuoi stare così, io sono tagliato fuori”, risponderebbe in modo simile a come fanno i Focusers quando a volte rispondono a parti di se stessi. Non c’è da stupirsi se queste parti reagiscono fuggendo! Ovviamente, questi sarebbero esempi di ‘ascolto non in Presenza’ – sarebbe evidente se un partner di Focusing dovesse dare una risposta del genere ad alta voce, ma molto meno evidente da individuare nell’ambiente dei nostri pensieri.

Allora perché questi pensieri che emergono all’inizio di una sessione di Focusing sono così difficili da identificare come “parti”? Una ragione – sostanziata dall’osservazione che la maggior parte di noi sembra avere un particolare “ostacolo” ricorrente – è che quanto più abituale diventa, tanto più diventa invisibile. Per esempio, se qualcuno ha esperienza di “andare alla deriva nei pensieri” le prime volte che tenta di fare Focusing da solo, presto comincia a portare con sé questa informazione come un fatto: “Quando cerco di focalizzare da solo mi perdo”. Ne consegue che probabilmente si identificheranno così tanto con questa aspettativa negativa che è impossibile riconoscerla come qualcosa che potrebbe essere distinto: “C’è qualcosa in me che vuole andare alla deriva”.

Un’altra possibilità è che le nostre ricorrenti difficoltà col fare Focusing da soli rappresentano l’equivalente delle nostre abituali forme di evitamento del processo – quei meccanismi che tendiamo ad usare per evitare di rimanere sul margine dove il cambiamento può accadere. In questo caso la nostra specifica strategia di evitamento sarebbe già tra i nostri meccanismi inconsapevoli e se fosse usata per evitare di rimanere sul margine durante il Focusing da soli avremmo meno probabilità di riconoscerla. McMahon e Campbell scrivono: “Le mie difese contro tale contatto corporeo e autentico sono forti, automatiche, saltellanti e invisibili – almeno a me stesso. (Bio-Spirituality Newsletter, Inverno 1998).

Perché focalizzare da soli

Date la difficoltà che incontriamo nel Focusing da soli, cosa possiamo dire a favore del perseverare nel praticarlo? Ci sono benefici nel focalizzare da soli che non si possono ottenere focalizzando con un compagno? In un articolo su ‘Focusing alone’ Dorothy Fisch dice: “Focusing ‘alone’ è quando mi sento più legata all’unicità della vita….. Ho apprezzato la partnership di Focusing, ma mi ha portato in posti diversi”. (TFC, novembre 1992)

Un altro Focuser esperto dice: “Focalizzare da solo è il nucleo della mia pratica di Focusing”. Altri spiegano varie ragioni per cui a volte è preferibile focalizzare da soli piuttosto che farlo con un partner. Queste includono il focalizzare su questioni che sono di natura privata o sensibile; occasioni in cui qualcosa ha bisogno di attenzione immediata e non c’è un ascoltatore disponibile; e quei momenti in cui il Focuser si sentirebbe inibito dalla presenza di un ascoltatore.

Ci sono anche delle volte in cui qualcosa ha bisogno di molto più tempo di quanto sarebbe pratico per un ascoltatore darne limitandosi a “tenere compagnia” mentre il “qualcosa” si dispiega lentamente. Dorothy descrive splendidamente la sua esperienza in questo senso: “Focalizzare da sola… è come guardare una foglia di quercia che si dispiega. Succede molto lentamente. Prima si nota un nocciolo, poi qualche giorno dopo un bocciolo di foglia, giorni dopo lo srotolamento inizia ad accadere e si ha una foglia”.

Il termine “Focusing alone” è generalmente usato per indicare un tipo formale di sessione di Focusing – un “sedersi accanto a qualcosa” – ma un’altra forma di Focusing da soli è quella che si potrebbe dire essere l’obiettivo a lungo termine di tutti i Focusers: essere sempre leggermente consapevoli del Felt Sense del momento. Toccare brevemente la base del Felt Sense durante la giornata è una pratica particolarmente preziosa che aiuta ad ammorbidire il confine tra “fuori” e “dentro”. Porta a sentire di essere più costantemente in contatto con sé stessi e una maggiore autenticità nelle interazioni con gli altri.

Focalizzare da soli offre anche l’opportunità unica di riconoscere parti che tendono ad essere “fuori scena” quando un compagno è presente. Nella mia determinazione ad intraprendere regolari sessioni da sola mentre lavoravo a questo progetto, mi sono trovata a riconoscere una parte con la quale ero stata finallora fusa. Alla fine mi sono seduta accanto a questa parte e si è prodotta una sessione bizzarra anche se molto preziosa, durante la quale ho preso le seguenti note. La trascrizione inizia dopo che improvvisamente mi sono resa conto di aver passato cinque minuti a pensare se avrei dovuto fare qualcos’altro invece di Focusing.

LEGENDA

a) Le qualità del Felt Sense sono descritte tra parentesi;

b) le parole che ‘sento’ dal Felt Sense sono in corsivo;

c) le mie risposte di “autoascolto” sono tra virgolette;

d) i puntini indicano la pausa silenziosa durante la quale posso riconoscere qualcosa

“Sto sentendo qualcosa che sta dicendo che è davvero importante per me valutare se dovrei fare qualcos’altro proprio ora”……… (un dolore attraversa il tronco) …..…

Odio davvero quando ti senti insicura su ciò che vuoi fare……….. Non voglio che tu perda tempo a lottare su cosa fare. Odio quando ti senti tesa e dispersa e insicura……….. Vedo che c’è molto da fare e non so cosa sia più importante…….. Voglio che tu sia focalizzata e nel momento – nel flusso…. (Teso, disperato, c’è uno spingere sotto il diaframma) ……..

C’è così tanto da fare e non c’è molto tempo……… COMINCIA DA qualcosa – QUALSIASI cosa – allora posso rilassarmi…..…

“Ah, quello che vuoi veramente è di essere in grado di rilassarti” ……….

Sì……. come quando focalizzi con qualcun altro…….

“Come quando focalizzo con qualcun altro – allora puoi rilassarti”.

Sì….. E io so che focalizzare è bene per te e vale il tempo che ci dedichi, ma così combatto con ciò che sento e forse dovresti fare qualcos’altro……….… in realtà sono qui quasi sempre in questo modo ma tu non te ne accorgi …. (il dolore si allunga – esaurita, confusa, tesa come un elastico) ………

“Rimarrò semplicemente qui a tenerti compagnia”…………

Vuoi davvero passare del tempo con me quando sei così occupata?

(Debole, stanco, sorpreso) …………… (dolore rilasciato, diffusione di calore)

Sono rimasta con il piacevole calore, godendomi la sensazione di rilassamento e centratura per un po’ di tempo prima di finire. Questa sessione di dieci minuti si è rivelata un passo importante per me. Da allora sono stata in grado di fare compagnia a questa parte “su due piedi” quando è presente, permettendole di evolvere gradualmente verso la direzione della vita. Mi ha anche reso consapevole di quanto questa parte abbia influenzato il modo in cui percepisco l’uso del mio tempo – e mi ha tolto molta tensione da quell’intera area della mia vita. Il fatto di non aver mai incontrato questa parte durante la partnership di Focusing dimostra che il Focusing da soli può fornire un’opportunità unica per entrare in relazione con queste abituali strategie di evitamento.

Quindi, dopo essermi convinta che c’è abbastanza da dire a favore del Focusing da soli e che valga la pena perseverare – anzi, di renderlo altamente raccomandabile – ho deciso di cercare di far luce sui problemi incontrati nel focalizzare da soli guardando quando questi tendono a non presentarsi.

Quando il Focusing va bene e cosa facilita il processo

La stragrande maggioranza delle persone con cui ho parlato ha detto che il loro Focusing di solito va bene quando: a) c’è un problema urgente che richiede attenzione; b) si focalizza con un partner.

a) “Se ho qualcosa che mi preoccupa, di solito posso focalizzare su di esso da solo”. Molte persone hanno detto che anche se non focalizzano regolarmente da soli – a causa di uno dei problemi menzionati in precedenza – usano il Focusing per affrontare problemi urgenti e/o forti reazioni emotive man mano che si presentano. Quando qualcosa è già percepito fisicamente o quando sentimenti forti facilitano l’accesso rapido al Felt Sense, è meno probabile che si incontrino ostacoli. L’area di pericolo è stata bypassata. Non solo siamo già impegnati nel processo di Focusing attraverso l’atto di notare il Felt Sense, ma abbiamo anche uno scopo prefissato per la sessione – abbiamo qualcosa che ha evidente bisogno di attenzione e siamo motivati a trascorrere del tempo con essa. Un certo grado di Presenza si stabilisce automaticamente nell’atto di identificare qualcosa al suo interno come separato da “me” e di essere interessati a saperne di più su di esso. Quindi l’idea di focalizzare su una questione di cui avverte la presenza è di per sé un’indicazione dell’intenzione e della capacità di stare con qualcosa piuttosto che fondersi con essa.

b) In una sessione prestabilita con un compagno non c’è spesso un tema così scottante. L’intenzione è semplicemente di verificare con noi stessi e vedere cosa, semmai, vuole la nostra attenzione – proprio come in una equivalente sessione di Focusing da soli. Eppure la stragrande maggioranza dei Focusers riferisce che raramente, se non mai, incontrano i loro ostacoli abituali quando focalizzano con un compagno. Perché no?

Scrivono Ann Weiser Cornell e Barbara McGavin: “Ci sono tre qualità che un partner deve portare con sé quando si focalizza da soli, spesso in maniera consapevole e deliberata: 1) contenimento (essere trattenuto); 2) concentrazione (l’opposto di distanziamento, vagabondaggio; ecc. 3) non giudizio”. (Prima stesura del Manuale dello Studente e del Compagno di Focusing).

Sentendo che un compagno ha queste qualità e quindi sostiene la Presenza, diventa possibile rimanere al margine dell’esperienza dove altrimenti non ci si potrebbe sentire sicuri di andare. Ed McMahon e Peter Campbell hanno detto: “Quindi il compagno è lì per sostenere il Focuser nel trovare la sua innata capacità di stare in compagnia in modo gentile e premuroso. Se una persona ha perso questa capacità e/o ha sviluppato una forte abitudine a scollegarsi dal Felt Sense, non sarà in grado di focalizzare da solo”. (“Bio-Spiritualità”)

Non si tratta quindi di una semplice applicazione di competenze tecniche, ma di avere la capacità di fornire quel tipo di Presenza che permette al nostro processo di dispiegarsi. Gene Gendlin spiega perché il primo passo verso lo sviluppo di questa capacità è quello di focalizzare con un ascoltatore: “Per essere me stesso ho bisogno delle vostre risposte, nella misura in cui le mie risposte non riescono a portare avanti i miei sentimenti. All’inizio, a questo proposito, sono ‘veramente me stesso’ solo quando sono con te….. Il “portare avanti” continuato che si verifica durante il processo di interazione con chi ascolta è necessario per ricostituire un “experiencing” abbastanza a lungo da permettere alla persona di ottenere la capacità di “portare avanti” come auto-processo” (“Una teoria del cambiamento della personalità”).

Si può imparare a focalizzare da soli?

Le parole di Gendlin sollevano una domanda: il Focusing da soli può essere appreso in qualsiasi fase o deve essere sviluppata una certa capacità di ascoltare noi stessi prima di poter iniziare a farlo? In altre parole, è sempre possibile per un Focuser fornire le qualità di Presenza necessarie a supportare il proprio processo?

La maggior parte dei Focuser ha bisogno di molto poco da un compagno per sostenere il proprio processo. Infatti, come ho scoperto per caso, spesso non c’è bisogno di niente, a parte il semplice essere lì (anche all’altro capo di un telefono) per generare un’atmosfera di “contenimento, concentrazione e non giudizio”. Cercando ingenuamente di simulare il più possibile una focalizzazione da soli per osservare il processo, ho ascoltato in silenzio diverse sessioni e ho scoperto che l’effetto dell’esperimento stesso ha invalidato l’oggetto della mia ricerca! Persone che, quando erano sole, hanno avuto difficoltà ad iniziare una sessione, a sistemarsi con qualcosa, a stare con il processo o a sperimentare un cambiamento, non hanno avuto alcun problema quando io stavo semplicemente “ascoltando”.

Sembra che, sebbene i rispecchiamenti e i suggerimenti di un compagno possano fornire un aiuto molto utile e gradito durante la focalizzazione, è l’effetto complessivo di avere qualcuno presente che facilita il processo di Focusing. Quindi molti Focusers sono pessimisti circa le loro capacità di focalizzare da soli perché nella partnership percepiscono il compagno come uno che “mantiene la Presenza” per loro. Fa una sottile ma importante differenza considerare che una focalizzazione di successo può avvenire solo quando anche il Focalizzatore ascolta sé stesso da una posizione di Presenza. In questo senso si potrebbe dire che anche quando un compagno è presente, il Focuser sta focalizzando da solo! Qualunque sia il livello di supporto fornito dal compagno, non è il compagno che sta ‘realizzando il processo di Focusing’ di chi sta focalizzando. Ne consegue allora che chiunque sia in grado di focalizzare con successo con un compagno è anche in grado di focalizzare da solo?

Tecnicamente potrebbe sembrare così, ma ci sono situazioni in cui il processo di Focusing da soli – per definizione – non avviene. Un Focalizzatore lo dice splendidamente: “A volte le parole devono uscire dal mio sistema ed essere incontrate da un altro essere umano.” Sono fermamente convinto che nessuno sforzo per sostenere la focalizzazione da soli dovrebbe tentare di minimizzare questo reale e sano desiderio di contatto umano, quando nasce.

A parte queste specifiche, occasionali, necessità, mi sembra probabile che nella maggior parte dei casi i Focusers abbiano la capacità di dotarsi delle qualità necessarie per sostenere la Presenza. Propongo quindi che i problemi possano essere ricondotti a tre specifiche aree di fusione che impediscono di mantenere uno stato di presenza:

a) il Focuser non riesce a stabilire la Presenza all’inizio della sessione. Questo rende quasi inevitabile la probabilità di fondersi con tutto ciò che viene fuori.

b) nel momento in cui qualcosa inizia a fare passi, una “parte critica” mette in dubbio la capacità del Focuser di concentrarsi da solo e il Focuser si identifica (e rimane) con quella parte.

c) è presente una “parte di controllo” che avverte un senso di responsabilità nel dirigere la sessione. Può sentire che deve fare qualcosa per rendere il processo più veloce, o che deve fare qualcosa per “aggiustare” qualcosa. Quest’area è un pantano se il Focuser si fonde con essa – e il rischio è alto perché c’è, naturalmente, una certa verità nell’idea che “io” sia responsabile della direzione della sessione. Poiché viene posto l’accento sull’importanza del ruolo del compagno nel Focusing e gli studenti imparano molte sottigliezze nella tecnica di ascolto, non sorprende che molti si sentano scoraggiati dalla prospettiva di “fare entrambi i lavori” come richiesto dal focalizzare da soli.

Sembra che molti di noi suppongano di conoscere le “regole di base” del Focusing così bene che quando si dispongono a focalizzare da soli sia automatico attenersi ad esse, e tuttavia, secondo le mie scoperte, non è insolito per i Focusers esperti “dimenticare” le basi o credere di poterne fare a meno. Di conseguenza tutto lo sforzo che facciamo per imparare a coltivare la Presenza come compagni esce dalla finestra quando focalizziamo da soli! C’è l’idea che fermarsi semplicemente a guardare dentro denoti l’inizio di una sessione di Focusing da soli – ma questo è vero a condizione di avere un atteggiamento rispettoso, compassionevole e non giudicante nei confronti di qualsiasi cosa emerga. In caso contrario ci identificheremo con i nostri pensieri piuttosto che essere in grado di dialogare con essi.

Portando avanti

Cosa possiamo fare per evitare di fonderci con i pensieri presenti? Sento che la risposta sta nel tornare alle basi – ricordando a noi stessi che il passaggio allo stato di Presenza non sempre avviene automaticamente e che di norma dobbiamo fare qualcosa per incoraggiarne la formazione. Soprattutto serve ricordare che qualsiasi atteggiamento diverso da quello dell’attenzione rispettosa, compassionevole, non giudicante, denota una fusione con un’altra parte.

Quindi, prima di avanzare nuovi suggerimenti su come alleviare i problemi del Focusing da soli, sono arrivata al punto di rendermi conto di quanto siano buoni tutti quelli vecchi! Quasi ogni articolo e capitolo sul Focusing da soli include una lista di suggerimenti su come rimanere in Presenza, da: “evoca la persona che più ti piacerebbe avere come ascoltatore, poi falla rispondere esattamente come vorresti che facesse(Diana Marder, TFC, novembre 1992), a scrivi parole chiave come la descrizione, le domande che ti stai ponendo e qualsiasi altra cosa sembri importante” (Ann W. Cornell, “The Power of Focusing”) e “Parla in un registratore e riproduci quando ti blocchi o ti perdi” – e ce ne sono molti altri ovviamente.

Trovare dei modi per diventare consapevolmente il proprio ascoltatore sembra essere essenziale. Questo significa avere un concetto di “me-in-ascolto” che si senta più grande di tutto il resto di me – sia che la si immagini essere un’altra persona, un computer, un orsacchiotto o me stesso. Durante la sessione che ho trascritto, stavo scrivendo non solo le parole significative che provenivano dal Felt Sense, ma anche le mie risposte di ascolto. Avere un senso molto chiaro di “me-in-ascolto” è stato ciò che mi ha permesso di entrare in relazione con una parte fino ad allora nascosta.

Ho notato che i dubbi sulle capacità di autoguida e l’impazienza quando qualcosa non si dispiega sembrano diminuire con l’esperienza. Le persone che hanno focalizzato per più tempo sono generalmente molto più contente di tenere compagnia a qualcosa – per molto tempo, se necessario – confidando nel fatto che un cambiamento avverrà se e quando sarà pronto. Nel suo libro “Focusing”, Gendlin scrive: “Se il Felt Sense non evolve e non risponde subito, va bene. Stateci per un minuto circa. Non controlliamo l’arrivo del cambiamento. Ciò che è cruciale è il tempo che passate nel percepirlo. Se si dedica tempo a sentire qualcosa di poco chiaro che è proprio lì… allora si è nel Focusing”.

Quindi, anche se siamo responsabili del mantenimento della Presenza, non siamo responsabili della direzione del processo stesso. Anche solo ricordare questo durante la sessione potrebbe eliminare una notevole quantità di stress dal Focusing da soli.

Potrebbe anche essere utile lasciar andare le aspettative che chi focalizza da solo dovrebbe avere la stessa sensazione che ha quando focalizza con un compagno, e invece riconoscere il valore del Focusing da soli in termini di sviluppo dell’abitudine di stare in contatto, momento per momento, con il nostro autentico “experiencing”. Vedere il Focusing da soli come un passo sulla via per coltivare la Presenza nella nostra vita in generale piuttosto che come fine a se stesso potrebbe alleviare in modo significativo alcune delle difficoltà di questa pratica.

I Focusers hanno meno probabilità di incontrare problemi quando “verificano internamente” il Felt Sense brevemente durante la giornata. Se tutto il resto fallisce, potrebbe essere consigliabile per un Focuser che si sforza di focalizzare da solo prendersi una pausa dalle sessioni formali e semplicemente concedersi il piacere di sentire lo stato interiore nei momenti in cui sta bene.

Infine, una citazione di Neil Friedman mi sembra particolarmente rilevante per il Focusing da soli: “Focalizzare è rilassante. Ci si sente bene nel corpo”. (“Focusing: Selected Essays”) Ne consegue che se inizia ad essere sgradevole, spaventoso, triste, frustrante, vuoto, solitario o qualsiasi altra cosa, possiamo presumere di essere fusi con qualcosa. Quindi vorrei offrire solo un consiglio fondamentale: se non ti senti bene, fai un passo indietro e riconoscilo da un luogo sicuro e confortevole. Questo ti porterà a ciò che è “in cima” nella tua esperienza – il bordo più esterno di ciò che ha bisogno di attenzione – e stare con questo porterà sempre un senso di giustezza e sollievo.

Da quando ho accettato il fatto che, seguendo questo semplice suggerimento, posso essere fiduciosa di poter rimanere in contatto con il mio experiencing in modo autentico e premuroso, sono con qualche esitazione arrivata a sentire che, sì, con un supporto sufficiente, chiunque può imparare a focalizzare da solo.

Roberto Tecchio

Mi piace condividere saperi che permettono a persone e gruppi di esprimere le loro potenzialità, apprendere da errori e fallimenti, così come da soddisfazioni e successi. Sono un formatore professionista certificato dall'International Focusing Institute di New York, collaboro con enti pubblici e organizzazioni non profit, insegno il Focusing a privati e professionisti che operano nel campo della salute, del benessere, dell'educazione, del volontariato, e impiego questa meravigliosa conoscenza anche in diverse forme di relazione d'aiuto orientate al benessere e all'empowerment individuale, di gruppo e organizzativo.